Clima e Ambiente

Salute mentale, criminalità e cambiamento climatico

Non è una novità: le ondate di caldo possono minare il benessere e la salute anche delle persone sane, soprattutto se protratte per tanti giorni consecutivi e accompagnate da umidità relativa elevata; la conseguenza fisica più pericolosa e temuta è il cosiddetto “colpo di calore”. Lo stress termico prolungato può però avere un grande impatto negativo anche su altri fronti, non meno importanti, come la salute mentale, l’aggressività e il tasso di criminalità.

La relazione tra temperatura, umidità e soleggiamento e questi aspetti dell’essere umano è studiata da alcuni decenni, mentre gli effetti del cambiamento climatico nel lungo periodo sulla loro incidenza ha ricevuto una crescente attenzione solo negli ultimi dieci anni. Diversi studi hanno analizzato lunghe serie storiche di dati a livello globale o regionale, alcuni utilizzando i risultati come base per prevedere l’impatto del riscaldamento globale sulla prevalenza dell’attività criminale e del disagio mentale a fine secolo. Vediamo qualche esempio.

Salute mentale e cambiamento climatico, lo studio inglese

Quantificare la salute mentale degli individui e raccogliere un set di dati da correlare con i mutamenti del clima non è semplice. A rendere problematica questa operazione sono le differenze culturali e della percezione sulla salute mentale e sulla malattia. A livello globale, ciò è ulteriormente complicato dallo stigma culturale sulla malattia mentale e dalle diverse tradizioni e approcci al trattamento e alla guarigione. Per questo, il tipico indicatore utilizzato per la malattia mentale è l’autolesionismo intenzionale fatale, cioè il suicidio. La ricerca infatti indica che tale evento si verifica sotto l’influenza di problemi di salute mentale nell’ 88-98 % dei casi. Sono dunque numerosi gli studi che utilizzano questo indicatore per investigare la correlazione tra i fattori climatici e il disagio mentale, nel breve o nel lunghissimo termine,  su scala globale o su scala regionale.

In questo articolo si parla di suicidio. Se hai bisogno di aiuto, parla con qualcuno: puoi chiamare il Telefono amico allo 02 2327 2327, tutti i giorni dalle 10 alle 24, o il servizio della Samaritans Onlus, attivo dalle 13 alle 22, al numero verde 06 77208977

Un studio inglese pubblicato nel 2021 su Nature ha indagato la correlazione tra ondate di calore e umidità e numero di casi di suicidio utilizzando i dati di 60 paesi prevalentemente europei, tra cui l’Italia, raccolti tra il 1979 e il 2016. Il lavoro si è basato sul conteggio del numero annuo di giorni di ondata di calore, dove per ondata di calore si intende un periodo di almeno quattro giorni consecutivi con temperatura minima  superiore al 99° percentile della climatologia locale (periodo di riferimento 1980-2018).

Nei paesi con risultati statisticamente significativi si è osservato un aumento medio dei suicidi del 3.5 % per ogni giorno di ondata di calore in più. Stratificando i dati per genere, è emerso che il numero di paesi in cui si è osservato un aumento significativo dei suicidi nelle donne è stato tre volte il numero dei paesi in cui si è osservato negli uomini. Come le donne, i giovani (età inferiore a 25 anni) sono stati più significativamente influenzati dalle ondate di caldo rispetto al resto della popolazione.

Questa ricerca ha anche permesso di evidenziare e quantificare il ruolo estremamente importante dell’umidità relativa, il cui incremento ha mostrato una correlazione con il suicidio (sia in termini di aumento, sia di diminuzione) spesso più significativa rispetto alle ondate di caldo, e dai cambiamenti della quale sono stati maggiormente influenzati, ancora una volta, i giovani e le donne.

Correlazioni fra umidità relativa e numero di suicidi per le femmine. I valori di IRR (Incidence Risk Ratio) indicano la variazione percentuale del suicidio come risultato di ogni aumento unitario dell’umidità relativa.
IRR = 1 indica assenza di dipendenza del suicidio, mentre le variazioni da 1 indicano un aumento (valori > 1) o una diminuzione (valori < 1) dei suicidi. Un impatto dello 0,1% equivale a migliaia di vite all’anno.

Secondo gli autori della ricerca, la maggiore sensibilità ai mutamenti climatici della popolazione più giovane può essere attribuibile al fatto che il cervello e il sistema nervoso si stanno ancora sviluppando e sono più suscettibili all’influenza del cambiamento ambientale. Per le donne le motivazioni sono assai diverse: da un lato vengono loro diagnosticati problemi di salute mentale più spesso rispetto agli uomini, ed è pertanto più  probabile che ad esse vengano prescritti più farmaci antipsicotici, molti dei quali interferiscono sul sistema di termoregolazione, rendendo chi li assume più vulnerabile agli effetti delle ondate di caldo. In secondo luogo, come emerso da numerosi studi, la disuguaglianza sociale, l’emarginazione e la discriminazione esistenti  in alcuni paesi rendono le donne più vulnerabili agli impatti climatici e ad altri impatti ambientali in generale.

Salute mentale e criminalità a fine secolo in Giappone

Cosa potrà accadere alla fine del nostro secolo? La ricerca inglese purtroppo non ce lo dice, ma per  avere un’idea dei possibili scenari futuri possiamo affidarci ad uno studio giapponese pubblicato nel 2017, che ha previsto gli effetti  della temperatura sul comportamento criminale e suicida utilizzando come base l’elaborazione dei dati raccolti tra il 2009 e il 2014 in 47 prefetture.

L’analisi dei dati 2009-2014 ha dimostrato che la temperatura ambientale nel periodo esaminato è stato il principale fattore scatenante di molti tipi di crimine e dei suicidi, sia nelle donne sia, soprattutto, negli uomini.  In tutte le prefetture sono stati infatti osservati comportamenti più aggressivi e un numero maggiore di atti autolesionistici all’aumentare della temperatura media. Ad esempio, è stato stimato che un aumento della temperatura di un grado abbia provocato  un incremento di casi di omicidio di 15 persone all’anno.

Sono state successivamente effettuate simulazioni di come il cambiamento del clima in Giappone potrebbe influenzare il  modello di comportamento suicida e criminale tra il 2080 e il 2100 sotto due dei quattro scenari descritti dall’IPCC nel Fifth Assessment Report (AR5) del 2014: RCP2.6  e RCP8.5.

Lo scenario RCP 2.6 prevede che le emissioni di  biossido di carbonio (CO2) inizino a diminuire entro il 2020 e si azzerino entro il 2100. Richiede inoltre che le emissioni di metano (CH4) raggiungano circa la metà dei livelli del 2020. Con questo RCP l’aumento della temperatura globale dovrebbe mantenersi al di sotto di 2 °C entro il 2100. Lo scenario RCP 8.5 è il peggiore: prevede che le emissioni  di gas serra continuino ad aumentare per tutto il 21° secolo.

Rispetto al valore di riferimento 1983-2004, i ricercatori hanno stimato che la temperatura media in Giappone a fine secolo dovrebbe aumentare di circa 1,1 gradi secondo lo scenario RCP2.6, o di ben 4,4 gradi secondo lo scenario RCP8.5. Se l’ipotesi dello scenario RCP2.6 è corretta, questi risultati suggeriscono che il numero medio annuo di vittime di omicidio nel 2100 aumenterà di 17 persone rispetto alla media tra il 2009 e il 2014.

Nello scenario peggiore (RCP8.5), si verificheranno altri 67 casi di omicidio a causa del cambiamento climatico, cioè si vedrà un aumento del 2−7% degli omicidi rispetto al numero di base di casi.

Il comportamento suicida nel 2100 farà invece 369 − 1475 vittime in più, cioè vedrà un incremento pari a 1−5% rispetto alla media 2009-2014.

Impatti previsti del cambiamento climatico su criminalità e suicidio in Giappone.
I valori riportati nelle colonne 2 e 3 rappresentano il numero totale di reati e suicidi in più che si verificheranno nel 2100 a causa del cambiamento climatico, rispetto al numero che si verificherebbe se la temperatura rimanesse alla media 2009-2014 (colonna 1). I numeri tra parentesi sono i tassi di crescita (%) rispetto alla media annuale tra il 2009 e il 2014.

Criminalità e cambiamento climatico negli Stati Uniti d’America

Come abbiamo visto, a fine secolo il cambiamento climatico in Giappone potrebbe portare ad un aumento non solo di suicidi, ma anche di crimini violenti (soprattutto omicidi e stupri) e non violenti (soprattutto furti). Cosa potrebbe accadere negli Stati Uniti d’America, dove il tasso di criminalità è più elevato di quello giapponese? I dettagli sono riportati in un famoso articolo di Matthew Ranson della Harvard Kennedy School, pubblicato una decina di anni fa.

L’analisi si basa su dati mensili di criminalità e dati giornalieri di temperatura per 2972 contee degli Stati Uniti nei 50 anni compresi fra il 1960 e il 2009. La relazione storica tra temperatura e crimini è utilizzata per prevedere, mediante due modelli di circolazione generale dell’atmosfera, in che modo il cambiamento climatico entro il 2099 influenzerà la prevalenza di attività criminali sotto lo scenario A1B definito dall’IPCC nel Fourth Assessment Report (AR4) del 2007. Questo scenario rappresenta un mondo futuro con alti tassi di crescita economica, in cui il rapido cambiamento tecnologico si basa su un equilibrio tra l’uso di combustibili fossili e non fossili, e prevede la stabilizzazione dei livelli di CO2 atmosferica a 720 ppm. Con questo scenario l’aumento della temperatura globale dovrebbe mantenersi poco al di sotto dei  3 °C entro il 2100.

I risultati mostrano che la temperatura ha ed avrà un forte impatto sul comportamento criminale anche negli USA. Secondo lo scenario climatico A1B dell’IPCC, rispetto al numero totale di reati che si verificherebbero tra il 2010 e il 2099 in assenza di cambiamenti climatici, in questi 90 anni gli Stati Uniti potrebbero subire altri 35.000 omicidi (+ 3,6%), 216.000 casi di stupro (+3,8%), 1,6 milioni di aggressioni aggravate (+3,1%), 2,4 milioni di aggressioni semplici (+1,3%), 409.000 di rapine (+1,6%), 3,1 milioni di furti con scasso (+2,3%), 3,8 milioni di casi di furto (+0,9%) e 1,4 milioni di furti d’auto (+1,9%). L’unica categoria di reato che diminuirebbe è l’omicidio colposo (-2,7%). I costi sociali di questi crimini legati al clima sono compresi tra 20 e 68 miliardi di dollari.

L’impatto previsto del cambiamento climatico sulla criminalità negli Stati Uniti sotto lo scenario A1B dell’IPCC.
La tabella mostra che per entrambi i modelli climatici (HadCM3 e CCSM3) il cambiamento climatico causerà un numero sorprendentemente elevato di crimini durante questo secolo. Il lato destro della tabella mostra le stime del costo sociale del crimine legato al clima che potrebbe verificarsi tra il 2010 e il 2099.

Questi sono solo pochi esempi  di una letteratura assai vasta, i cui risultati convergono verso la dimostrazione che il cambiamento climatico antropogenico in atto, per effetto diretto sulla fisiologia umana o per cause indirette, può alimentare a livello globale non solo il disagio mentale, ma anche l’aggressività e il comportamento criminale, deteriorando l’ambiente di sviluppo di generazioni intere.

Va da sé che robuste politiche di mitigazione del riscaldamento globale potrebbero migliorare gli sforzi di prevenzione della criminalità e del suicidio. E non solo.

Bibliografia, per chi vuole approfondire:

Berry, H. L., Waite, T. D., Dear, K. B. G., Capon, A. G. & Murray, V. The case for systems thinking about climate change and mental health. Nat. Clim. Change 8, 282–290. https:// doi. org/ 10. 1038/ s41558- 018- 0102-4 (2018).

Burke, MB, E Miguel, S Satyanath, JA Dykema and DB Lobell. Warming increases the risk of civil war in Africa. Proceedings of the National Academy of Sciences , 106, 20670 20674. (2009)

Clayton, S., Manning, C. M., Krygsman, K. & Speiser, M. Mental Health and Our Changing Climate: Impacts, Implications, and Guidance (American Psychological Association, and ecoAmerica, 2017).

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Stanley, S. K., Teaghan, L. H., Leviston, Z. & Walker, I. From anger to action: Differential impacts of eco-anxiety, eco-depression, and eco-anger on climate action and wellbeing. Climate Change Health 1, 2667–2782. https:// doi. org/ 10. 1016/j. joclim. 2021. 100003 (2021).

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