Italia
Disoccupazione giovanile, quanto ha influito davvero la pandemia?

L’Italia purtroppo vanta uno dei peggiori primati in Europa per la disoccupazione giovanile classificandosi terza solo dopo la Grecia e la Spagna. Gli ultimi dati Istat ci confermano che in Italia la percentuale di giovani disoccupati tra i 15 e i 24 anni è pari 27,7%, ciò significa che quasi 1 giovane su 4 resta a casa senza un lavoro e senza la possibilità di costruirsi un futuro.
Dal report annuale Eurostat emerge che una delle preoccupazioni più urgenti nel campo delle politiche sociali è senza dubbio proprio la disoccupazione giovanile. L’andamento dei mercati del lavoro è strettamente legato ai sistemi di istruzione e formazione e riflette una discrepanza tra le competenze acquisite dai giovani e le competenze richieste dai datori di lavoro. Si legge inoltre nel report che i tassi più alti di disoccupazione giovanile sono particolarmente concentrati nell’Europa meridionale.
In 22 regioni oltre il 40% della forza lavoro di età compresa tra 15 e 24 anni risulta disoccupato nel 2020. Questo gruppo comprende otto regioni della Grecia, sette della Spagna, quattro dell’Italia meridionale e tre regioni ultra-periferiche della Francia.
L’Italia purtroppo si classifica come ultimo Paese U.E. per politiche di formazione giovanili orientate all’occupazione, innescando una catena distruttiva: i giovani non studiano, non si formano e non lavorano.
Questo è un grave problema che attanaglia il Paese, in particolar modo il Sud.
La fetta più ampia di giovani di età compresa tra 15 e 24 anni che non sono occupati o coinvolti in programmi di istruzione o formazione (i cosiddetti NEET, Not in Education, Employment or Training) si trova nelle regioni meridionali del nostro Paese, in Molise (25,5%), Calabria (26,5%), Campania (28,0%) e Sicilia (29,3%).
L’avvento del Covid-19 non ha fatto altro che aggravare ulteriormente questa situazione, specialmente per i giovani in cerca di lavoro in un mercato incapace di offrire opportunità e per gli studenti, costretti a fare i conti con scuole aperte ad intermittenza, didattica a distanza e università chiuse per mesi.
L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico conferma che “I giovani sono stati particolarmente colpiti dalle devastazioni della crisi legate al Coronavirus”. L’organismo sottolinea che molti giovani, spesso “impiegati in settori duramente colpiti con contratti precari hanno perduto il lavoro”, mentre quelli che stavano per accedere al mercato del lavoro dopo aver terminato gli studi “hanno faticato a trovare lavoro in un contesto di posti vacanti limitati”. Di conseguenza, la pandemia ha innalzato bruscamente il tasso di persone senza lavoro, istruzione o formazione.
Dal rapporto del Oecd sull’occupazione 2021, emerge che tra i 37 paesi membri si siano persi 22 milioni di posti di lavoro.
Finalmente però la situazione sembra migliorare e si intravede una ripresa dopo la crisi innescata dal Coronavirus, ce lo confermano i dati pubblicati dall’Istat: si contano infatti oltre 440 mila occupati in più rispetto all’anno scorso. Quindi rispetto a luglio del 2020 il numero delle persone occupate è salito del 2,0%. Un andamento confermato anche dal commento dell’Istat: “Nonostante si registri un contenuto calo del numero di occupati e una stabilità del tasso di occupazione, la forte crescita registrata nei precedenti cinque mesi ha determinato un saldo rispetto a gennaio 2021 di 550 mila occupati in più”. Il calo dell’occupazione registrato dall’Istat tra giugno e luglio riguarda i lavoratori autonomi, scesi dello 0,9%. Aumentati, ma di poco, i lavoratori dipendenti, sia quelli assunti a tempo determinato che quelli assunti con l’indeterminato. Il dato più preoccupante riguarda gli inattivi, ovvero quelle persone che pur essendo in età da lavoro al momento non stanno né studiando né cercando un’occupazione. Questa categoria è cresciuta maggiormente nei mesi della pandemia e al momento il tasso di inattività è al 35,5%.
Al di là delle gravi conseguenze inflitte dal Covid-19, l’Italia soffriva già in precedenza di problemi strutturali legati ai giovani e al mondo del lavoro. I giovani di oggi sono catapultati in un sistema economico che non offre possibilità per mettersi in gioco e devono fare i conti con un grosso paradosso: per lavorare è necessaria l’esperienza, ma per fare esperienza è necessario di lavorare.
I macro problemi potrebbero essere sostanzialmente due, da una parte la scuola incapace di stare al passo con l’evoluzione della società e di conseguenza di fornire agli studenti le giuste competenze richieste dal mondo del lavoro. Il nostro sistema non offrirebbe infatti adeguate opportunità per sviluppare le competenze che servono, come abilità linguistiche, digitali, scientifiche e via dicendo. Il sistema educativo italiano viene spesso criticato per essere eccessivamente teorico e non abbastanza integrato con le richieste del mondo del lavoro.
In Italia il 13,1% dei giovani tra i 18 e 14 anni abbandona prematuramente gli studi (quartultimi in Europa) e abbiamo uno dei tassi di laureati tra i più bassi nell’Ue. E’ dunque probabile che il lavoro di orientamento dal liceo all’università non è abbastanza consistente per permettere agli studenti di prendere decisioni informate sul proprio futuro.
Un altro punto critico è quello dell’inserimento nel mondo del lavoro, i tirocini sono delle esperienze fondamentali per la formazione, ma in molti casi questi stage non sono retribuiti e la maggioranza dei tirocini non assicurano un’assunzione certa.
Dall’altra il mondo del lavoro che sembra non potere offrire ai giovani posizioni lavorative in linea con le loro competenze o il percorso scolastico, e soprattutto a garantire loro un sufficiente livello di stabilità economica. Basti pensare che Il 40% dei lavoratori italiani non ha un profilo formativo compatibile con le qualifiche richieste dal proprio impiego: anche quando le competenze sono presenti troppo spesso non vengono valorizzate, vengono sottopagate o non sono richieste.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, preparato dall’Italia per rilanciarne l’economia dopo la pandemia di COVID-19, si è posto l’obbiettivo di un incremento dell’occupazione giovanile del 3,2% da qui al 2026, riattivando il mercato del lavoro e promuovendo l’acquisizione di nuove competenze digitali e linguistiche. Verranno stanziati fondi per le startup, per il potenziamento dei centri per l’impiego e per progetti di assunzione di giovani in ruoli di alto profilo nella pubblica amministrazione.
Oltre a ciò verranno investiti 1,5 miliardi di euro per gli ITS, con l’obiettivo di raddoppiare il numero di diplomati; si lavorerà anche per un orientamento universitario migliore, un aumento delle borse di studio e dei corsi di laurea professionalizzanti. 600 milioni di euro verranno investiti nella formazione duale (on-the-job training) e altri 650 nel Servizio civile universale come strumento di apprendimento non formale.
Redatto da Martina Hamdy.