Clima e Ambiente

Alpi e Appennini senza neve, futuro dello sci a rischio. Lo studio

Lo sci e il turismo invernale alpino risentiranno sicuramente della crisi climatica: il riscaldamento globale renderà la neve una rarità sulle montagne europee, e su Alpi e Appennini in Italia. Il rischio di ricevere sempre meno neve, oltre a ridurre le riserve idriche per le comunità a valle, mette evidentemente a rischio il futuro delle stazioni sciistiche d’Europa, con qualche piccola differenza da zona a zona, aumentando la vulnerabilità delle comunità locali oggi dipendenti dal turismo invernale.

Il riscaldamento globale rischia di far piano piano scomparire la neve sulle Alpi e sugli Appennini: secondo uno studio pubblicato su Nature Climate Change, senza un maggiore impegno nelle politiche climatiche il 100% delle stazioni sciistiche italiane dovranno affrontare il rischio di ricevere neve insufficiente per permetterne il funzionamento. La stessa cosa vale per le Alpi tedesche e le stazioni sciistiche turche, mentre la percentuale scende – anche se di poco – per le stazioni sciistiche in Austria (94%), Francia (93%), nei Carpazi (91%), in Svizzera (87%) e nei Paesi nordici (70%).

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Alpi e Appennini senza neve? Quel sarà il futuro degli impianti da sci?

Tra gli altri effetti negativi del riscaldamento globale, dunque, se le temperature aumentassero di 3°C, saremmo destinati a rinunciare anche allo sci. Stando ai ricercatori, solo la metà degli impianti sciistici potrebbe salvarsi, utilizzando la neve artificiale, il cui uso comunque comporta un costo in risorse idriche e energetiche.

Se, invece, l’impegno climatico aumentasse e riuscissimo a raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, e quindi un riscaldamento globale limitato ai 1,5 gradi, la percentuale di stazioni sciistiche italiane che dovranno subire gli effetti della scarsità di neve scenderebbe al 17%.

L’aumento delle temperature infatti provocherà una diffusa carenza di precipitazioni nevose sulle nostre montagne, e più le emissioni aumentano, più le temperature salgono, rischiando di far calare drasticamente l’apporto nevoso in montagna. Gli anni con innevamento insufficiente quindi potrebbero essere sempre più frequenti.

Se, invece, riuscissimo a restare sotto la soglia di 1,5°C, solo il 32% delle stazioni sciistiche europee riscontrerebbe conseguenze importanti, e con l’uso di neve artificiale la percentuale scenderebbe al 14-26%.

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In un futuro 3°C più caldo, il 100% delle stazioni sciistiche alpine d’Italia potrebbe avere a che fare con una carenza di neve, ma l’innevamento artificiale potrebbe dimezzare l’impatto, abbassando al 49% la percentuale di stazioni sciistiche in difficoltà. In un futuro 1,5°C più caldo, invece, da un 69% di stazioni sciistiche italiane in difficoltà, si scenderebbe al 17% con l’uso di neve artificiale.

Tuttavia è bene ricordarsi che l’uso di neve artificiale comporta delle conseguenze, con un aumento della domanda di acqua e di elettricità, e dunque delle emissioni di gas serra, a seconda del mix energetico del Paese.

“Questo studio evidenzia che in tutte le regioni montane d’Europa i futuri cambiamenti climatici porteranno a un degrado delle condizioni della neve nelle stazioni sciistiche rispetto agli ultimi decenni, anche se le conseguenze saranno diverse da regione a regione – spiega Samuel Morin, ricercatore del Météo-France e del CNRS di Tolosa e Grenoble, Francia-. Questo non significa la fine immediata del turismo sciistico in Europa, ma condizioni sempre più difficili per tutte le stazioni sciistiche, alcune delle quali arriveranno, nel giro di qualche decennio, a un’offerta di neve criticamente bassa per poter operare così come la conosciamo attualmente. Una riduzione più rapida delle emissioni limiterebbe il rischio per l’approvvigionamento di neve per il turismo sciistico e la domanda di innevamento e le relative esternalità: domanda di acqua, domanda di elettricità e relative emissioni”.

“Per bassi livelli di riscaldamento globale, l’innevamento artificiale porta a un miglioramento delle condizioni di neve nelle stazioni sciistiche, tranne quando la situazione è già molto difficile al momento. Per livelli di riscaldamento più elevati, il guadagno in termini di affidabilità della neve non è sempre garantito, soprattutto al di sopra del 50% di copertura frazionata dell’innevamento, e avviene a scapito di un aumento della domanda di acqua”, chiarisce Hugues François, ricercatore dell’INRAE di Grenoble e autore principale dello studio. “Il nostro metodo fornisce un modo per calcolare la variazione della domanda di acqua dovuta all’innevamento in un clima più caldo, che può essere confrontata, su scala locale, con i futuri cambiamenti nella disponibilità di acqua e nella domanda di acqua per usi multipli. Tuttavia, la sfida principale è quella di sviluppare e implementare percorsi di sviluppo che riducano in modo massiccio le emissioni complessive di gas serra del turismo sciistico, principalmente guidate dai trasporti e dagli alloggi, mantenendo al contempo attività sostenibili dal punto di vista ambientale che forniscano opzioni di sostentamento per un’ampia gamma di persone che vivono nelle aree montane. Fino a che punto il turismo sciistico svolgerà un ruolo importante in queste aree nel lungo periodo, rimane una questione aperta”.

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